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lunedì 8 novembre 2010

Nazım Hikmet - GRAN BELLA COSA E' VIVERE MIEI CARI

Nazım Hikmet Ran (Salonicco, 20 novembre 1902[1]Mosca, 3 giugno 1963) è stato un poeta turco, naturalizzato polacco.
Il marxista Nazım Hikmet (pronuncia [nɑ'zɯm hik'met]), condannato per le sue idee, fu uno dei più grandi poeti a denunciare i massacri ai danni degli armeni che si verificarono tra il 1915 e il 1922.
Nato a Salonicco (attualmente in Grecia) da una famiglia aristocratica turca, il nonno paterno Nazim Pascià era stato governatore di varie province ottomane, ma anche poeta e scrittore in lingua ottomana. Il nonno materno, figlio di un nobile polacco, era militare in carriera, ma anche filologo e storico. Hikmet era figlio del diplomatico Nazim Bey e dalla pittrice Aisha, appassionata di poesia francese e specialmente di Lamartine e Baudelaire. La sua prima pubblicazione avvenne a diciassette anni su una rivista. Il suo punto di riferimento letterario era il suo insegnante di letteratura e poesia, Yahya Kemal, e altri poeti turchi come Tevfik Fikret e Mehmed Emin.
Durante la guerra d'indipendenza lavorò come insegnante a Bolu. Studiò poi sociologia presso l'università di Mosca (1921-1928) dove scoprì i testi di Marx e della rivoluzione sovietica. Conobbe Lenin, Esenin e Majakovskij, che ebbe su di lui un'importante influenza.
Dopo il suo ritorno clandestino in Turchia nel 1928, Hikmet scrisse articoli, sceneggiature teatrali ed altri scritti. Fu condannato alla prigione per il suo ritorno irregolare ma amnistiato nel 1935. Nel 1938, fu condannato a 28 anni e 4 mesi di prigione per le sue attività anti-naziste e anti-franchiste, scontandone 13 in Anatolia, nel corso dei quali venne colpito da un primo infarto, per essersi opposto alla dittatura di Kemal Ataturk. Fu l'intervento di una commissione internazionale composta tra gli altri da Tristan Tzara, Pablo Picasso, Paul Robeson e Jean-Paul Sartre a favorirne la scarcerazione nel 1950.
Si sposò con Münevver Andaç, traduttrice in lingua francese e in lingua polacca a cui dedicò diverse poesie. Nel 1951, a causa delle costanti pressioni, fu costretto a ritornare a Mosca ma la moglie e il figlio non poterono seguirlo ed egli trascorse il suo esilio viaggiando in tutta Europa. Perse così la cittadinanza turca e divenne polacco. Nel 1960 si innamorò della giovane Vera Tuljakova e la sposò.
Morì il 3 giugno 1963 in seguito ad una crisi cardiaca, uscendo dalla porta della sua casa al numero 6 della via Pesciànaya a Mosca. È ricordato principalmente per il suo capolavoro, la raccolta Poesie d'amore, che testimonia il suo grande impegno sociale.

 Pubblicato nel 1962, un anno prima della sua morte in esilio a Mosca, e a tutt'oggi inedito in Italia, Gran bella è cosa vivere, miei cari è un romanzo la cui gestazione ha accompagnato gran parte della vita di Hikmet. Pur essendo un'opera di fiction, le vicende che Hikmet racconta sono attinte dalla sua biografia: sua è la voce del narratore, Ahmet, un uomo morso da un cane rabbioso che attende la fine del periodo di incubazione isolato in una capanna dell'Anatolia lasciandosi andare alle intermittenze della memoria e del cuore; sua è anche la voce di quell'io che gli si alterna, in un sublime gioco di proiezioni e riflessi narrativi; suo è il "materiale di vita" che vi si accumula, gli squarci dell'infanzia, i momenti di attivismo politico, le sofferenze dell'esilio; suo l'incancellabile ricordo di un'amatissima donna, Anuka, sfuggente e contesa. Ma definire questo romanzo come semplicemente autobiografico sarebbe oltremodo riduttivo. Perché scorre nelle sue pagine una forza creativa che attinge alla poesia di Hikmet e a tutta la sua opera, in un singolare procedimento che si potrebbe semmai definire "autobibliografico", per usare la felice intuizione di Giampiero Bellingeri. "Giusto una rimessa in gioco di se stesso" scrive nella sua Postfazione "risulta essere questa estrema prova di Nazim, avvinto dal cimento con le proprie idee di arte ...nel dialogo urgente intavolato, intrecciato con le voci levate e raccolte nella `gran bella cosa" che è la vita, precaria e intensa... Come a dirci che, ricreando, rivivendo immagini, persone, vicende, situazioni psicologiche e morali già celebrate nella propria poesia, si vive ulteriormente, e non d'obbligo nel rifugio del passato. Nel tempo ritrovato si ritrova lo spazio per l'eco, la proiezione in avanti delle prove passate, sullo schermo dove tornano ad agire le ombre concrete della irreversibile fusione, o diciamo pure confusione, di scelte di vita e poesia."

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