Lidia Ravera |
La frase degli spiriti illuminati, che tutto comprendono e digeriscono, è questa: “Un uomo in casa sua (o in casa del suo indiretto superiore) può fare quello che vuole”. Variazione spericolata: “Basta che faccia bene il suo lavoro”, che magari è governare. E mettiamo pure che sia bravissimo a governare (sarebbe già un sollievo), siamo sicuri che possa fare quello che gli pare a casa sua? Che cos’è una casa? Uno spazio extraterritoriale, una zona franca, un paradiso morale in cui ogni regola è sospesa, ogni obbligo decade e nessuno paga per quello che fa (o non fa)? Una volta ci regnavano le donne, sul focolare (almeno lì, almeno a parole). Adesso la donna, nel chiuso delle sue stanze, torna a essere umile ancella. Dietro quella metafisica porta chiusa, quella che separa il privato dal pubblico, l’uomo è padrone. Può coprirti di ridicolo o di schiaffi, ma se tutto avviene lì, in tinello o nella tavernetta, magari nel corso dell’orgiastico riposino del guerriero, nessuno lo “può giudicare nemmeno tu”, come cantava Caterina Caselli, in un’altra era geologica.
È una conquista recente del nostro Paese, questa sanatoria del peggio, estesa a chiunque abbia abbastanza potere per scansare almeno un paio di comandamenti. Dio, evidentemente, è dalla loro parte. Noi laici, costretti a comportarci bene per mancanza di protezioni altolocate, continuiamo a fare i conti con la nostra coscienza. Come ai tempi in cui si gridava contro chi era “a sinistra in piazza, a destra nel letto”. E giù feroci lezioni di perfezione relazionale! Avessimo quattro soldi da parte varrebbe la pena di lanciare un’Opa sulla Famiglia per conquistare il primo fra i suoi “valori”: l’impunità domestica.
Il Fatto Quotidiano, 1 maggio 2011
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