librerie canova

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Conegliano - Treviso

LIBERNAUTA 2012

LIBERNAUTA 2012
Concorso a premi per terrestri curiosi dai 14 ai 19 anni e over 20

lunedì 28 febbraio 2011

IL PALO DELLA BANDA DELL'ORTICA

CHICAGO ANNI' 20, ITALIA 2011

"C'è qualcosa di peggio di un criminale ed è un uomo disonesto implicato in un gioco politico, un individuo che finge di applicare la legge e in realtà si fa pagare da qualcuno che la trasgredisce; un delinquente con un minimo di dignità non sa che farsene di individui del genere. Li compra come compra qualsiasi articolo necessario al suo commercio, ma li odia con tutto il cuore." Al Capone, conferenza del 5 dicembre 1927, Hotel Metropole, Chicago.

LA LIBERTA' DEI POVERI

Stéphane Hessel - Indignatevi!

Indignatevi! è un pamphlet liberatorio e corrosivo di Stéphane Hessel, diplomatico francese, ex partigiano, novantatreenne combattivo che ha conquistato con questo testo migliaia di lettori.
Dove sono i valori tramandati dalla Resistenza, dove la voglia di giustizia e di uguaglianza, dove la società del progresso per tutti?
A ricordarci le cose che non vanno sono gli eventi di una quotidianità fatta di ingiustizie e di orrori come le guerre, le violenze, le stragi. Hessel parte da qui, per indicare a tutti quali sono i motivi per cui combattere e per cui tenere alta l’attenzione.
L’indignazione è il primo passo per un vero risveglio delle coscienze, e il grido di Hessel ce lo ricorda con fermezza e convinzione.

sabato 26 febbraio 2011

COME CI VEDONO ALL'ESTERO

Mark Twain - IL BUON ESEMPIO





Non esiste quasi niente che sia più difficile da sopportare del buon esempio.

Clara Sánchez - IL PROFUMO DELLE FOGLIE DI LIMONE

Spagna, Costa Blanca. Il sole è ancora caldo nonostante sia già settembre inoltrato. Per le strade non c'è nessuno, e l'aria è pervasa dal profumo di limoni che arriva fino al mare. È qui che Sandra, trentenne in crisi, ha cercato rifugio: non ha un lavoro, è in rotta con i genitori, è incinta di un uomo che non è sicura di amare. Si sente sola, ed è alla disperata ricerca di una bussola per la sua vita. Fino al giorno in cui non incontra occhi comprensivi e gentili: si tratta di Fredrik e Karin Christensen, una coppia di amabili vecchietti. Sono come i nonni che non ha mai avuto. Momento dopo momento, le regalano una tenera amicizia, le presentano persone affascinanti, come Alberto, e la accolgono nella grande villa circondata da splendidi fiori. Un paradiso. Ma in realtà si tratta dell'inferno.
Perché Fredrik e Karin sono criminali nazisti. Si sono distinti per la loro ferocia e ora covano il sogno di ricominciare. Lo sa bene Julián, scampato al campo di concentramento di Mauthausen, che da giorni segue i loro movimenti. Sa bene che le loro mani rugose si sono macchiate del sangue degli innocenti. Ma ora, forse, può smascherarli e Sandra è l'unica in grado di aiutarlo. Non è facile convincerla della verità.
Eppure, dopo un primo momento di incredulità, la donna comincia a guardarli con occhi diversi e a leggere dietro quella fragile apparenza.
Adesso Sandra l'ha capito: lei e il suo piccolo rischiano molto. Ma non importa. Perché tutti devono sapere. Perché è impossibile restituire la vita alle vittime, ma si può almeno fare in modo tutto ciò che è successo non cada nell'oblio. E che il male non rimanga impunito.

Un romanzo che ha sorpreso e ha scosso le coscienze, rivelandosi un caso editoriale unico. Uscito in sordina in Spagna, ben presto ha scalato le classifiche vendendo migliaia di copie grazie al passaparola del pubblico. Poi è venuta la consacrazione della critica: la vittoria del Nadal, il premio letterario spagnolo più antico e prestigioso.
Il profumo delle foglie di limone racconta una storia di amore e di coraggio, di memoria e di colpa, di speranza e forza, una storia che rimane impressa nell'animo per sempre. 

venerdì 25 febbraio 2011

NON DISTURBARE

Elbert Green Hubbard - IL PROGRESSO





Una macchina può svolgere il lavoro di cinquanta uomini ordinari. Nessuna macchina può svolgere il lavoro di un uomo straordinario.

Wilbur Smith - LA LEGGE DEL DESERTO

Hazel Bannock, bellissima e raffinata vedova di un miliardario americano, tiene ben salde le redini dell’impero che il marito le ha lasciato. Per garantire la sicurezza del suo impianto petrolifero più importante, oggetto di frequenti attacchi terroristici, si avvale di un plotone di mercenari guidati da Hector Cross, ex SAS noto per i suoi metodi sbrigativi, talvolta estremi. Benché nasca una forte attrazione sin dal loro primo incontro, tra i due non corre buon sangue: Hazel non ama l’aggressività di Hector e il suo carattere brusco e rude. Un evento tragico, tuttavia, sta per unirli: l’unica figlia di Hazel, la ventenne Cayla, viene rapita da un gruppo di terroristi islamici, insediati in una delle zone più selvagge e aride dell’Africa, una terra in cui il deserto corre a filo del mare e in cui anche gli esseri umani più tenaci sono messi a dura prova. Nonostante tutte le sue resistenze Hazel sa che solo Hector Cross può tentare l’impresa impossibile di strappare Cayla dalle mani dei terroristi. Ma un destino più insidioso del vento che soffia tra le dune la costringerà a esporsi in prima persona, e a fare ricorso a tutto il suo coraggio e alla sua forza...

giovedì 24 febbraio 2011

IL VIDEO CHE INCASTRA SAVOIA

Nel 2006 Vittorio Emanuele parlava di manipolazione . Eccolo confessare in cella a POtenza l'omicidio del ragazzo tedesco in Corsica: "Ho sparato così"
Dopo 33 anni Vittorio Emanuele di Savoia ammette di aver ucciso Dirk Hamer, sparandogli col suo fucile nella notte sull’isola di Cavallo, in Corsica. C’è un video, che il Fatto Quotidiano ha potuto visionare e che pubblichiamo sul nostro sito web, in cui il principe si vanta dell’omicidio e di essere riuscito a farla franca nel processo-farsa in Francia.

“Avevo una batteria di avvocati”
Carcere di Potenza, 2006: Vittorio Emanuele è nella cella dov’è detenuto per l’inchiesta su Vallettopoli. Indossa una maglietta bianca con la scritta Nissan sulla schiena. Passeggia tra i letti a castello del penitenziario. E commenta le notizie del telegiornale – che parlano di lui – con i suoi compagni di prigione.  È divertito, allegro. I coindagati Rocco Migliardi, Gian Nicolino Narducci e Ugo Bonazza, reclusi con lui, lo incitano: “Lei è già fuori!”. L’”erede al trono” cede alla tentazione dell’autocompiacimento, non è la prima volta che se la cava con poco: “Nel mio processo a Parigi…”.

Inizia così la confessione che ilfattoquotidiano.it è in grado di mostrarvi: a immortalarla non c’erano soltanto le cimici, come si pensava, ma anche una microcamera nascosta. È un filmato inequivocabile, che rievoca la notte tra il 17 e il 18 agosto 1978: un ragazzo tedesco di 19 anni, Dirk Hamer, viene raggiunto da due colpi di fucile alla gamba destra. Muore dopo 111 giorni, 19 operazioni e l’amputazione dell’arto. Un solo imputato: Vittorio Emanuele, che nega qualsiasi responsabilità. Alla fine la giuria francese lo dichiara innocente, dopo un processo durato appena tre giorni.

Quando nel 2006 i giornali pubblicano stralci dell’intercettazione ambientale in cui si vanta di aver “fregato” i giudici francesi e ricostruisce la traiettoria delle sue fucilate, Vittorio Emanuele convoca una conferenza stampa, nell’evocativa saletta dell’hotel Principe di Savoia a Milano. Accompagnato dai legali e dal figlio Emanuele Filiberto, sminuisce le sue esternazioni su Dirk Hamer e dice che sono state falsificate: “Queste notizie sono talvolta manipolate o non sono vere. Ma ora è il momento di parlare, di far emergere la verità”. E la sua verità è questa: “Due tribunali francesi si sono pronunciati prosciogliendomi da ogni responsabilità. Lo hanno fatto perché ci sono prove chiare. La pallottola che ha colpito il ragazzo non poteva essere del mio fucile. Qualcuno ha sparato con una pistola a quel povero ragazzo, ecco la verità”.

Dichiarazioni che ora vengono clamorosamente neutralizzate dalle testuali parole che lui stesso ha pronunciato in carcere, ignaro della microcamera che registrava: “Io ho sparato un colpo così e un colpo in giù, ma il colpo è andato in questa direzione, è andato qui e ha preso la gamba sua, che era (parola incomprensibile, ndr) steso, passando attraverso la carlinga”. Spiega il tipo di proiettile: “Pallottola trenta zero tre”.

Il principe ammette quindi di aver colpito Dirk e si vanta di aver gabbato il Tribunale parigino che l’ha assolto, grazie alla sua “batteria di avvocati”. Rievoca “il processo, anche se io avevo torto … torto…”. E aggiunge: “Devo dire che li ho fregati… Il Procuratore aveva chiesto 5 anni e 6 mesi. Ero sicuro di vincere. Ero più che sicuro”. Infatti “mi hanno dato sei mesi con la condizionale: sei mesi, c’era un’amnistia, non l’hanno neanche scritto! Sono uscito!”. Scoppia a ridere, senza trattenere la soddisfazione.

La ricercadel filmato
Per Birgit Hamer, la sorella di Dirk, che nel 2006 legge queste intercettazioni ambientali sui giornali, diventa fondamentale capire se davvero, come sostiene Savoia nella conferenza stampa, le trascrizioni sono state manipolate o meno. Perché se fossero autentiche e testuali metterebbero – spiega lei – “la parola fine su questa storia: sarebbe impossibile negare che, a prescindere dalle sentenze, Savoia sia il vero e unico responsabile della morte di mio fratello”.

Ma la signora Hamer, che a 20 anni rinunciò a una carriera di top model e attrice per dedicare la sua vita a dare giustizia al fratello in tribunale e poi a confutare la sentenza, vive da dieci anni in Spagna con le figlie, Sigrid e Delia. Non ha più contatti diretti con i giornalisti, non sa a chi rivolgersi. Comincia a scrivere e a telefonare a tutte le persone coinvolte nel processo Vallettopoli che ha portato Savoia in carcere (verrà poi prosciolto). Scopre così che agli atti dell’inchiesta è depositata non solo la trascrizione delle frasi, ma anche la videoregistrazione del colloquio fra il principe e i compagni di cella. “Cosa c’è di più inequivocabile di un filmato, per capire come stanno le cose?”, domanda la Hamer parlando con il Fatto. Il tempo passa. Vittorio Emanuele viene prosciolto dal gip di Potenza (come spiega qui sotto Gianni Barbacetto). Solo a questo punto Birgit può fare istanza al Tribunale per ottenere copia della registrazione. Trova un avvocato nel capoluogo lucano che la rappresenti. Ma aspetta quasi un anno senza avere risposte.

Poi scopre che parte del processo è stata trasferita alla Procura di Roma. Qui si rivolge a un altro legale che inoltra una seconda istanza ben motivata: “La signora Hamer ha il diritto costituzionalmente garantito alla verità sulla morte del fratello”. Trascorre qualche altro mese (pare che la registrazione sia andata perduta), poi finalmente l’avvocato chiama: il filmato è stato recuperato, può passare a ritirarlo.
Quando Birgit vede il video, è la prima volta che ascolta la voce di Vittorio Emanuele dai tempi del processo a Parigi. Le bastano pochi minuti per rendersi conto che non ci sono manipolazioni. Sono molte le parole incomprensibili e il principe, mentre racconta la notte in cui Dirk viene ferito a morte, è di spalle. Ma, ciò nonostante, risultano evidenti sia il contesto sia l’ammissione di colpa, che nelle intenzioni di Savoia è un vanto. Le frasi più gravi si sentono nitidamente, e con queste anche le risate e le battute, tutte pronunciate col timbro di voce inconfondibile dell’erede di Casa Savoia. La Hamer piange, ma è felice come non lo era mai stata negli ultimi trent’anni: “Guardare quel video è orrendo, ma dà anche un grandissimo sollievo. Ora quel signore non potrà mai più sostenere che non ha sparato a mio fratello: ho vinto la mia battaglia, anzi quella di Dirk”.

da Il Fatto Quotidiano del 24 febbraio 2011

François de La Rochefoucauld - LA FELICITA'




Prima di dedicarci con tutti noi stessi a qualcosa, vediamo quanto sono felici coloro che già la posseggono.

Carlotta Mismetti Capua - COME DUE STELLE NEL MARE

È una sera di pioggia battente a Roma e, mentre il Tevere esonda, sull’autobus 175 si sta stretti. Troppo stretti, forse, la gente quasi si restringe per evitare di sedersi accanto a quattro ragazzini sgualciti: «i soliti rumeni», mormora una donna. Ma che non sono rumeni, Carlotta, anche lei su quell’autobus, se ne accorge subito. È incuriosita, e si rivolge loro in inglese. Poche domande semplici, guardandoli negli occhi, occhi stanchi ma scintillanti. Scopre, con stupore, che quei quattro ragazzini vengono dall’Afghanistan. Scopre che sono giunti in Italia a piedi, dopo un’incredibile marcia durata cinque mesi e cinquemila chilometri. Sorridono ora, sembrano contenti, contenti che il loro viaggio sia giunto alla meta prefissata, alla Piramide, la fermata dove trascorreranno la notte in quella che per loro è “la città di Asterix”. Quattro ragazzini afgani a Roma, soli, sotto la pioggia, in un mondo magico e ostile. Carlotta dà loro appuntamento per la mattina seguente. Ne ritrova solo uno, Akmed.

È l’inizio di una emozionante storia umana, tra una giovane donna e un figlio della guerra. Una storia inaspettata, a volte feroce altre perfino comica, che traccerà la propria strada seguendo le briciole di poeti e sognatori. Una storia in cui tutto diviene emergenza e ogni parola perde di significato. O ne acquista di più importanti, di nuovi.

mercoledì 23 febbraio 2011

LA MALEDIZIONE DI BERLUSKHANKAMON

CHI STRISCIA NON INCIAMPA

PERCHE' L'ITALIA NON ALZA LA TESTA

Perché non ci ribelliamo? In Italia la disoccupazione giovanile è al 29%, la più alta d’Europa. Tutti noi genitori abbiamo il problema dei figli, quasi sempre laureati, che non trovano lavoro o che devono accettare ingaggi precari molto al di sotto del loro titolo di studio, senza nessuna prospettiva per il futuro (questo è stato uno degli elementi scatenanti della rivolta tunisina innescata da un ingegnere costretto a fare il venditore ambulante e, impeditagli anche la bancarella, si è dato fuoco).

Tutti gli scandali più recenti, dal “caso Mastella” in poi, ci dicono che la classe dirigente italiana, intesa come mixage di politici, amministratori pubblici, imprenditori, finanzieri, speculatori, esponenti dello star system, piazzano i propri figli, nipoti, generi, amici degli amici, in posti di lavoro ben remunerati e sicuri. Del resto nemmeno un chirurgo, nel nostro Paese, può fare il chirurgo se non ha gli agganci giusti con questa o quella banda di potere. Perché il sistema clientelare di Mastella non è il “sistema Mastella” è il sistema dell’intera classe dirigente italiana. Se non altro Mastella ha lo spudorato coraggio e la spudorata onestà di non farne mistero.

I ceti popolari sono stati espulsi da Milano e mandati nell’hinterland, in “non luoghi” direbbe Biondillo, che hanno il nome di paesi ma non sono paesi, perché non hanno una piazza, una chiesa, un cinema, un luogo di aggregazione. Le deportazione dei ceti popolari ha distrutto Milano, città interclassista dove nei quartieri del centro, Brera, Garibaldi, Pirelli abitava accanto al suo operaio, il primo, naturalmente, in un palazzo di Caccia Dominioni, il secondo in una casa di ringhiera. Questa interfecondazione dava alla città una straordinaria vivacità che è andata inesorabilmente perduta. Oggi una giovane coppia non può trovar casa a Milano, né in affitto né tantomeno in proprietà nemmeno con mutui che impegnino tre o quattro generazioni.

Quando ci si lamenta che certe zone periferiche, come via Padova, sono state occupate più o meno illegalmente dagli immigrati, si sbaglia perché se non altro hanno restituito un po’ di vita, e in particolare una vita notturna a una città che non ne ha più se non in quei quattro o cinque bordelli di lusso, a tutti noti, che ogni tanto vengono chiusi per eccesso di escort e di droga. In questi posti senti uomini fra i quaranta e i sessanta fare discorsi di questo tipo: “Domani parto per New York, poi faccio un salto a Boston e ritorno in Italia via Thailandia dove mi fermerò una decina di giorni”. Se per caso ti capita di parlargli e gli chiedi: “Scusi, lei che lavoro fa?”, le risposte son vaghe. In genere si dicono finanzieri, intermediari, immobiliaristi. Quando agli inizi degli anni ’70 era già cominciata la deportazione dei milanesi verso l’hinterland, lo Iacp, Istituto Autonomo Case Popolari, non dava i suoi appartamenti alla povera gente, ma a politici, amministratori locali, giornalisti, in genere socialisti perché, prima del ribaltone della Lega, Milano, è stata governata da sindaci del Psi (Aniasi, Tognoli, Pilliteri, gli ultimi). È ovvio che il centro di Milano, depauperato dei suoi ceti popolari, sia abitato oggi solo dai ricchi. Noi milanesi le case di piazza del Carmine, di via Moscova, di via della Spiga, di via Statuto possiamo solo sfiorarle e occhieggiarne i lussuosi androni. Meno ovvio è che il Pio Albergo Trivulzio, la Baggina come la chiamiamo noi, che ha accumulato un ingente patrimonio immobiliare, grazie a dei benefattori che intendevano, con ciò, non solo alleviare la condizione dei vecchi soli e invalidi ma anche che i loro quattrini avessero un utilizzo sociale, svenda questo patrimonio, con affitti o vendite “low cost” come si dice elegantemente oggi, a politici, amministratori, manager, immobiliaristi, speculatori, modelle, giornalisti, che di questo “aiutino” non avrebbero alcun bisogno, sottraendo risorse a chi il bisogno ce l’ha.

Io bazzico bar frequentati da impiegati, da piccoli manager, da lavoratori del terziario e un’antica piscina meneghina, la Canottieri Milano, dove si sono rifugiati, come in uno zoo per animali in estinzione, i cittadini di una Milano che fu, gente anziana. Tutti schiumano rabbia impotente di fronte a queste storie dei figli delle oligarchie del potere che hanno il posto assicurato o delle case del centro occupate “low cost” da queste stesse oligarchie o dai loro pargoli (nello scandalo del Pio Albergo Trivulzio c’è un nipote di Pilliteri, una figlia di Ligresti). Queste cose li colpiscono più dei truffoni di Berlusconi perché toccano direttamente la loro carne.
Schiumano rabbia ma non si ribellano. Perché? Le ragioni, secondo me, sono sostanzialmente due. In questo Paese il più pulito ha la rogna. Quasi tutti hanno delle magagne nascoste, magari veniali, ma ce l’hanno. Non che sia gente in partenza disonesta. Ma, com’è noto, la mela marcia scaccia quella buona. Se “così fan tutti”, tanto vale che lo faccia anch’io. Così ragiona il cittadino. Per resistere a quel “tanto vale” ci vuole una corazza morale da santo o da martire o da masochista. La seconda ragione sta in una mancanza di vitalità. Basterebbe una spallata di due giorni, come quella tunisina, una rivolta popolare disarmata ma violenta disposta a lasciare sul campo qualche morto per abbattere queste oligarchie, queste aristocrazie mascherate che, come i nobili di un tempo, si passano potere e privilegi di padre in figlio, senza nemmeno avere gli obblighi delle aristocrazie storiche. Ma in Tunisia l’età media è di 32 anni, da noi di 43. Siamo vecchi, siamo rassegnati, siamo disposti a farci tosare come pecore e comandare come asini al basto. Solo una crisi economica cupissima potrebbe spingere la popolazione a ribellarsi. Perché quando arriva la fame cessa il tempo delle chiacchiere e la parola passa alla violenza. La sacrosanta violenza popolare. Come abbiamo visto in Tunisia e in Egitto, come vediamo in Libia o in Bahrein (in culo al colossale Barnum del Circuito di Formula Uno, che è, in sé, uno schiaffo alla povera gente di quel mondo).

Il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2011

GHEDDAFI: UNA STORIA ITALIANA

martedì 22 febbraio 2011

GHEDDAFI UNO DI NOI

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La meraviglia è una dote degli italiani. La sorpresa di fronte all'impensabile, ma solo perché nessuno ci aveva voluto pensare, è una caratteristica nazionale. Abbasso Gheddafi, il sanguinario dittatore beduino, il genocida del suo stesso popolo, lo stragista di migliaia di libici innocenti. Sì, d'accordo, ma nessuno ha mai detto nulla all'Eni di Scaroni, alla Juventus degli Agnelli, all'Impregilo di Romiti, alla Finmeccanica o all'Unicredit di nonsipapiùchi? La mamma non ha detto loro nulla prima che si sposassero con Gheddafi? Aziende italiane con enormi interessi nella Libia e partecipazioni azionarie dirette da parte del Paese responsabile dell'attentato di Lockerbie. La cittadina scozzese dove morirono le 259 persone del volo Pan Am insieme a 11 abitanti. Il più sanguinario atto terroristico prima delle Torri Gemelle? Qualcuno ha alzato un dito in quarant'anni contro chi ha spogliato di tutti i beni e cacciato da un giorno all'altro come dei cani gli italiani che vivevano in Libia da decenni? Anzi, è avvenuto il contrario. Gheddafi è stato protetto, riverito, accolto come il garante della mitica Quarta Sponda dell'Italia. Non è un mistero che la sua aviazione militare sia stata addestrata in Italia e neppure che i nostri servizi segreti lo abbiano più volte avvertito di minacce e attentati. Si dice che sfuggì alla morte durante il bombardamento ordinato da Reagan grazie a informatori italiani. Gheddafi è uno di noi, che lo si voglia o meno, che lo si accetti oppure no. Il baciamano di Berlusconi è solo l'ultimo episodio, il più plateale e indecoroso per gli italiani, di un rapporto lungo decenni. Gheddafi salvò la Fiat alla fine degli anni' 70 con i suoi capitali, nessuno si indignò. Abbiamo barattato petrolio con armi e assistenza militare, energia con la perdita del pudore della nostra democrazia. E ora, giustamente, ci indigniamo. La meraviglia è dei bambini e degli ipocriti. L'Italia è il Paese delle Meraviglie e dell'Ipocrisia. Gheddafi ha dichiarato che rimarrà fini alla morte. L'Italia perde un suo fedele alleato che ha già rinnegato. Gheddafi? Ma chi lo conosce?
 

IL PIU' PICCOLO MARTIRE DI BENGASI

piccolo martire Bengasi


 Perché questo bambino si trova lì, su un lettino ambulatoriale improvvisato? Non sarà certo per un misero 12% di gas che importiamo dalla Libia (la maggior parte proviene infatti dall'Algeria)? O per il petrolio? Insomma, c'entra qualcosa la corsa alla spartizione delle risorse energetiche del nord Africa, in un mondo che sta rapidamente esaurendo le forme di energie tradizionali basate sui combustibili fossili? Perchè, dopo avere conquistato l'Iraq e l'Afghanistan, nell'attesa di preparare il terreno per uno scontro in Iran, lo scacchiere delle zone calde si sposta proprio in Nord Africa? Vedete qualcosa di strano in questa mappa?





Tutti i paesi in rivolta, sostenuti dall'occidente e dai maggiori stati esportatori di democrazia (tranne l'Italia che, insieme alla Spagna - per esempio - ha già accordi di sfruttamento, uno proprio con la Libia, tramite il gasdotto Green Stream), portano o fanno transitare gas e/o petrolio. Nell'immagine sopra, sono visibili in rosso i gasdotti, in verde gli oleodotti e con linea tratteggiata le condutture in fase di realizzazione. La Libia, il paese dove più violenta è la repressione, ha anche il petrolio. E in Bahrein, che è lontano dall'Africa del Nord ma dove pure scoppiano le medesime rivolte, si vive di petrolio e gas naturale per oltre il 60% del PIL. Manco a dirlo, stessa identica situazione nello Yemen.

Vi ripeto la domanda: perché quel bambino si trova lì?

BACIAMANO

LA SAGGEZZA DI GHEDDAFI

Ascanio Celestini - IO CAMMINO IN FILA INDIANA

«Fatto sta che siamo immobili, ognuno nel suo buco. In un milione di anni nemmeno la mosca ha imparato a salvarsi dal ragno».

Le pagine di questo libro tintinnano come un mazzo di chiavi. Al centro di ogni storia c’è un’immagine, un tono nero di favola, una vertiginosa parabola anarchica: parole che spalancano porte nella testa del lettore.
A voler smettere di camminare in fila indiana, bisogna cominciare a ragionare in cerchio.

C’è un rivoluzionario in bicicletta, che quando arriva al parlamento per buttare la bomba si accorge di non essere il primo: gli tocca mettersi in coda, come alle poste. C’è l’uomo di governo che «quando faccio politica, non ne faccio una questione politica». C’è chi cammina in fila indiana ed è contento di considerarsi solo un numero, tanto da non tollerare che qualcun altro – di certo un sovversivo – gli si affianchi sostenendo di essere semplicemente Mario…
Ogni personaggio procede «sulla superficie sconnessa di un pianeta che pare fermo e invece si muove, perché quando ti muovi piano è quasi come se non ti muovi per niente», consapevole dell’equilibrio precario nel quale si trova, ma consapevole soprattutto che «precipitare è tutto un altro discorso». Sottratta al monologare fluviale degli altri suoi testi, la prosa di Ascanio Celestini si fa in questo libro quintessenziale: i racconti di Io cammino in fila indiana scavano nel cuore minerale di un’instancabile arte affabulatrice, che indaga il mondo con passione e curiosità. Con un andamento narrativo capace di accordarsi agli scarti improvvisi del pensiero – tanto da assumere di volta in volta la forma della poesia civile, o della preghiera laica -, le storie ambientate nel «piccolo paese» mostrano quello che siamo diventati.
Grazie al guizzo dell’intelligenza e all’impegno militante di una fantasia sempre ribelle, Ascanio Celestini costruisce così il suo libro più personale. Distribuendosi in tanti «Io» che giocano con lo specchio deformante – eppure fedelissimo – dell’apologo o della fiaba, l’autore prende per mano il lettore e lo guida attraverso la cronaca e le assurdità dei nostri anni recenti. Si ride molto, ma amaramente. E poi si riflette, cercando una medicina per questo mondo pieno di storture. Senza mai dimenticare che «l’ansia è una faccenda che ti si gonfia nella testa. È come l’aria per il pallone: di concreto c’è solo un sottilissimo strato di gomma elastica, tutto il resto è aria».

lunedì 21 febbraio 2011

MILANO DA RUBARE

Charles Lamb - BUONE AZIONI





Il più grande piacere che conosco è fare una buona azione di nascosto ed essere scoperto per caso.

Charles Portis - IL GRINTA

Nel secolo del mitico far west, nelle terre selvagge dell'Arkansas, al confine con lo sterminato Territorio Indiano -  rifugio di ladri di cavalli, rapinatori di treni e battelli a vapore, assassini bianchi e meticci braccati da feroci cacciatori di taglie - vive Mattie Ross, un'impertinente «mocciosa di quattordici anni... capace di andarsene di casa in pieno inverno per vendicare la morte del padre».
Non più alta di un soldo di cacio, la Colt da dragone di suo padre nel sacchetto dello zucchero, Mattie si presenta un giorno al cospetto di un vecchiaccio con un occhio solo, un abito nero impolverato e un distintivo sul panciotto. È Reuben Cogburn, detto da tutti il Grinta... lo sceriffo più cattivo, duro e spietato che vi sia, uno che non sa che cosa sia la paura, l'uomo giusto, insomma, per scovare l'assassino del padre e restituirlo all'altrettanto dura legge del giudice Parker.
Cento dollari e Cogburn sarebbe bell'e che assoldato se non comparisse all'orizzonte LaBoeuf, un ranger texano, un bel tipo sulla trentina con gli occhi azzurri, il ciuffo ribelle e un sorrisetto così compiaciuto da far venire i nervi a chiunque, non solo alla piccola Mattie.
LaBoeuf, che sta dando la caccia allo stesso assassino per conto della famiglia di un'altra vittima, seduce il Grinta con la prospettiva di una lauta spartizione della taglia, e a Mattie non resta che rassegnarsi alla sua presenza.
Un vecchio sceriffo, un altezzoso e affascinante ranger e una ragazzina che non sa sparare ma sa montare a cavallo come un vero cowboy e in più sa leggere, scrivere e recitare a memoria brani della Bibbia, partono dunque per una caccia che potrebbe essere senza ritorno, ma a cui nessuno dei tre accetterebbe mai di rinunciare, nonostante la fatica, il clima del deserto, i pericoli che uomini e animali - selvaggi tanto gli uni quanto gli altri -mettono sul cammino dell'improbabile ma inesorabile terzetto.
Pubblicato per la prima volta nel 1968, Il Grinta è un romanzo che si legge d'un fiato e ha lo stesso carattere della sua indimenticabile protagonista: è eccentrico, diretto e risoluto, comico e irresistibile. Un romanzo di culto, un classico che affonda le radici nell'animo americano, e che non a caso ha attratto intere generazioni di lettori e noti cineasti, da Henry Hathaway, che ne fece un film che valse a John Wayne l'unico premio Oscar della sua carriera, fino ai fratelli Coen, con la loro magistrale e fedelissima trasposizione cinematografica.

sabato 19 febbraio 2011

Johann Kaspar Lavater - GRADEVOLI





Per risultare gradevoli in società si deve acconsentire a farsi insegnare cose che già si sanno.

Paola Mastrocola - TOGLIAMO IL DISTURBO

Questo libro è una battaglia, perché la cultura non abbandoni la nostra vita e prima di ogni altro luogo la nostra scuola, rendendo il futuro di tutti noi un deserto. È anche un atto di accusa alla mia generazione, che ha compiuto alcune scelte disastrose e non manifesta oggi il minimo pentimento. Infine, è la mia personale preghiera ai giovani, perché scelgano loro, in prima persona, la vita che vorranno, ignorando ogni pressione, sociale e soprattutto famigliare. E perché, in un mondo che li vezzeggia, li compatisce, e ne alimenta ogni giorno il vittimismo, essi con un gesto coraggioso e rivoluzionario si riprendano la libertà di scegliere se studiare o no, sovvertendo tutti gli insopportabili luoghi comuni che da almeno quarant’anni ci governano e ci opprimono. 

giovedì 17 febbraio 2011

FATTI MANDARE DALLA MAMMA A PRENDERE "IL FATTO"

SILVIO PELVICO

Alla fine, depositato il polverone politico-mediatico del Truman Show, restano i fatti nudi e crudi, che il gip Cristina Di Censo descrive con una semplicità disarmante. Una sera di maggio un cittadino telefona in Questura per far rilasciare una minorenne marocchina fermata per furto senza documenti né fissa dimora, spacciandola per la nipote del presidente egiziano Mubarak. Se fosse un passante, lo manderebbero a prendere per il trattamento sanitario obbligatorio. Trattandosi del presidente del Consiglio, trattengono le risa e obbediscono a lui anziché al pm minorile e affidano la ragazza a una procace consigliera regionale che si è precipitata sul posto in compagnia di una prostituta brasiliana, nelle cui mani poi la consigliera scarica la minorenne. Le due immigrate vengono poi sorprese a rissare furiosamente e a rinfacciarsi la loro professione, la più antica del mondo.

Indagini, interrogatori e intercettazioni per scovare chi organizza il giro di squillo: saltano fuori i nomi della consigliera regionale, di un direttore di telegiornale e di un impresario di star dalla dubbia fama (lui, non le star). L’utilizzatore finale invece è il presidente del Consiglio, che paga in soldi, favori, gioielli, appartamenti in comodato gratuito: ecco perché ha telefonato in Questura. Dalle perquisizioni affiorano i soldi, elargiti un po’ dal premier un po’ dal suo ragioniere, che però non può essere perquisito perché abita in una succursale della Presidenza del Consiglio. Ci vuole il permesso della Camera. I giudici lo chiedono. La Camera rispedisce il faldone al mittente senza dire né sì né no, sostenendo che è competente il Tribunale dei ministri perché il premier chiamò la Questura per sventare una crisi diplomatica con l’Egitto. Vivo stupore in Egitto, dove nessuno è stato avvertito del fatto che il capo del governo italiano racconta in giro che Mubarak ha una nipote prostituta e che questa presta abitualmente servizio in casa sua (del capo del governo italiano). Anche perché, in tal caso, l’Italia rischierebbe non solo l’incidente diplomatico, ma un attacco missilistico.

Alla Procura di Milano bastano meno di tre mesi per tirare le somme: pagare una minorenne in cambio di sesso è reato (prostituzione minorile), indurre la Questura a compiere un atto indebito a favore di un’amica è reato (concussione). E, siccome in casi così rapidi ed evidenti il Codice prevede il rito immediato, i pm lo chiedono. Il gip Di Censo sa quel che le accadrà se lo accorderà: verrà insultata, spiata, screditata, dossierata, trascinata alla Consulta. Eppure mantiene i nervi saldi e decide secondo coscienza, sine spe ac metu, uniche bussole il Codice penale e la Costituzione. Dopo i 5 giorni canonici, rinvia B. a giudizio immediato. Ritiene che le accuse siano provate e meritino il vaglio processuale. Il Tribunale stabilirà se è provata anche la colpevolezza dell’imputato B. Incidentalmente il gip spiega anche perché il caso è roba da tribunale ordinario: basta leggere la Costituzione per sapere che è reato ministeriale quando un membro del governo abusa delle proprie funzioni. Ma il premier non ha poteri sulle Questure (non è il ministro dell’Interno né il capo della Polizia): ergo, chiamando quella di Milano, non abusò delle funzioni, ma della qualità di capo del governo. Reato ordinario, tribunale ordinario. Tutto semplice, elementare, lapalissiano. Ci arriverebbe uno studente al primo giorno di Giurisprudenza. Non, dunque, legioni di politici e opinionisti servi. Il 6 aprile, se vorrà, B. comparirà in tribunale. Se non vorrà, peggio per lui: lo processeranno lo stesso. Dopo vent’anni di urla, strepiti, leggi su misura, censure, epurazioni, ricorsi, ricusazioni e centinaia di milioni spesi in avvocati, giudici, testimoni e deputati per trasformare il Parlamento e il Paese intero in un gigantesco collegio di difesa, si ritroverà solo, impotente, nudo come un verme davanti all’incubo che lo insegue da sempre: la Giustizia.

Il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2011

SUPERVENDOLA

martedì 15 febbraio 2011

LA MERDA NEL VENTILATORE

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Alcuni confrontano Berlusconi con Al Capone. Il primo in via di liquidazione per storie di puttane, il secondo incarcerato per evasione fiscale. Ma il paragone non regge per due motivi. Il primo che Al Capone era il padrone di Chicago, ma non presidente degli Stati Uniti. Era un privato cittadino, non il primo cittadino. Il secondo è che non disponeva delle informazioni sui grandi evasori d'America, mentre lo psiconano ha certamente un armadio di dossier su tutti coloro che hanno molto peccato, e non solo sessualmente, siano essi parlamentari o nelle Istituzioni. Quanti sono e chi sono? Prima di uscire di scena li sputtanerà. Userà i suoi media come cannoni. Nel '93 si diceva che la politica non poteva essere sostituita dalla magistratura. Il crollo del pentapartito ci ha regalato il peggior ventennio della Repubblica e la restaurazione dei craxisti e dei piduisti. Chi si ricorda di Tina Alselmi? Nel 2011 siamo ancora al punto di partenza, come in un interminabile gioco dell'oca. Allora le mazzette, oggi le vallette. In questa legislatura le opposizioni(?) hanno avuto più volte la possibilità di far cadere il governo. Sarebbe stato un atto meritorio. Non è avvenuto. E la politica è stata sostituita da Ruby. La politica non può abdicare al suo ruolo. Bersani, Fini, Casini, D'Alema, Veltroni e altri coraggiosi si fanno scudo di una ragazzina per il finale di partita. Una partita che avrebbero dovuto e potuto chiudere da un decennio. Berlusconi è un'anatra zoppa da tempo. E' il passato. Ma, in politica, c'è modo e modo di seppellire i morti. Il rischio è quello di tumulare anche la Repubblica Italiana. Dopo la caduta di Benito Mussolini ci fu il caos, l'otto settembre, la fuga del Re. Berlusconi è il garante di equilibri molto precari. L'economia è vicina al collasso, qualunque cosa dica Tremorti. In caso di elezioni, con il Pdl allo sbando, la Lega potrebbe diventare maggioranza nel Nord e avviare la secessione con il consenso del Veneto e della Lombardia. Lo psiconano, a suo modo, è stato il collante di una Nazione in disfacimento, il suo alibi e il suo specchio. Questa sera, nei viali delle città italiane, centinaia di minorenni si prostituiranno nell'indifferenza generale e oggi moltitudini di italiani si alzeranno in volo, veri orchi moderni, per stuprare dei bambini nel mondo. A qualcuno interessa? Ci aspetta un periodo di merda privata nel ventilatore, credo che quasi nessuno ne sarà immune. Preparatevi e allacciate le cinture.

SE NON ORA QUANDO

Mark Twain - IL BANCHIERE




Un banchiere è uno che ti presta l'ombrello quando c'è il sole e lo rivuole non appena comincia a piovere.

Antonio Pennacchi - MAMMUT

Benassa è lo storico, coriaceo rappresentante sindacale dei lavoratori alla Supercavi di Latina- Borgo Piave. La tuta blu sull'anima, la trattativa nel sangue, era il terrore di ogni direttore del personale. Tutti i comunicati che emetteva il Consiglio di fabbrica, li componeva lui di notte. Ed erano poemi. "Mazzate a rotta di collo sull'Azienda e su tutti i Dirigenti. Come movevano una paglia, lui li tartassava sopra la bacheca." Sapeva fare solo quello. E solo quello aveva sempre fatto.
Per anni ha guidato le lotte dei compagni, tra cortei e blocchi stradali, picchetti e occupazioni, conquiste e delusioni, ma ora che bisogna combattere l'ultima decisiva battaglia sindacale, la gloriosa azione collettiva per tenere la fabbrica aperta e sul mercato, Benassa è stanco. Sul punto di mollare. O forse no.
Dopo un'occupazione epica della centrale nucleare di Latina, in due giorni di febbrile clausura nel sepolcro dello stabilimento, Benassa cerca di spiegare ai propri compagni le sue ragioni. Perché dopo vent'anni spesi a lottare per loro sta per cedere alle richieste del capo del personale? Perché è sul punto di accettare di essere pagato per stare fuori dalla fabbrica? Questo è il primo libro di Antonio Pennacchi, il suo romanzo d'esordio, una grande epopea operaia scritta nel 1987, quando era lui pure come Benassa operaio in Fulgorcavi, e il suo eccentrico talento doveva vedersela coi turni di notte alle coniche e alle bicoppiatrici. Con il suo stile ribaldo, insieme ironico e drammatico, racconta una storia di fabbrica e di conflitti sindacali, di un tempo in cui gli operai erano davvero "uno per tutti e tutti per uno" e tra i capannoni della Fulgorcavi/Supercavi si alternavano la rivolta radicale e la solidarietà più accorata, l'odio per il lavoro organizzato e l'orgoglio per la potenza delle macchine. Nel frattempo quella classe operaia "che doveva fare la rivoluzione", e che invece si è avviata inesorabilmente all'estinzione, proprio come i mammut nella preistoria, è tornata a farsi vedere e sentire. Colpo di coda, canto del cigno? O rinascita, riscossa? Come si dice, ai posteri... Quello che è certo è che il romanzo di Pennacchi, che di quella classe ci racconta gioie e dolori, fatiche e speranze, conserva ancora intatta la sua forza e la sua illuminante sagacia, e quella capacità, che è tipica solo dei classici, di essere esemplare.

lunedì 14 febbraio 2011

CODICE BERLUSCONI

James Matthew Barrie - IL SOLE





Chi porta il sole nella vita degli altri, non può tenerlo lontano dalla sua.

LA PENA DI MORTE ITALIANA

Prefazione di Beppe Grillo.
"In Italia, come tutti sanno, non esiste la pena di morte. C’è, è vero, ancora la libertà di tortura, in quanto il nostro codice penale non la contempla e qualcuno se ne approfitta, come durante il G8 di Genova a Bolzaneto e alla scuola Diaz. Ma la pena di morte non esiste più dal 1° gennaio 1948 come recita la Costituzione italiana. Ragion per cui in carcere le sentenze capitali sono eseguite con discrezione, senza dare nell’occhio. Il pestaggio si chiama infarto o emorragia cerebrale. Lo strangolamento è sempre un suicidio, spesso con i lacci delle scarpe con cui non si impiccherebbe neppure un criceto. Si muore in cella e durante l’agonia, che può durare ore come per Aldo Bianzino o per Stefano Cucchi, non è presente nessuno, il secondino è immancabilmente altrove, il medico di servizio in ritardo. Quando arriva, rassicurante, con la borsa, non nota mai i segni delle percosse, dei lividi, delle ferite. Il decesso è naturale. Le diagnosi fotocopia dei medici attestano lesioni autoinferte. Si fanno sempre male da soli. Il detenuto era depresso, non ha retto. I segni del male oscuro che affliggeva i carcerati defunti sono le lettere-testimonianza inviate ai parenti, in particolare alle madri poco prima della loro morte.
Sono annunci funebri, di ragazzi che gridano in una grafia incerta, disperata, che stanno per morire ammazzati. Le madri chiedono un colloquio, un trasferimento a un altro carcere, che vengono però negati fino alla morte, come nel caso di Niki Aprile Gatti. Il carcere, il luogo per definizione più sicuro e custodito del mondo, è un braccio della morte che si estende lungo tutta la penisola, da Genova, a Firenze, a Rovereto. Ogni anno muoiono in carcere circa 180 detenuti.
Un terzo sono suicidi. Chi si toglie la vita è di solito un ragazzo alla prima detenzione. Nel 2009 vi sono stati sessantanove suicidi, un record storico, un tasso superiore di ventuno volte a quello della popolazione italiana non detenuta. Si potrebbe pensare che sia normale che ciò succeda, in Italia come altrove. Invece il Canada ha un tasso quattro volte più basso di quello italiano e il ministro della Giustizia polacco si è dovuto dimettere a causa di un suicidio. In galera chi sopravvive e non si suicida o viene suicidato diventa un delinquente abituale, un pericolo per la società quando ritorna in libertà. L’affidamento ai servizi sociali è stato di fatto eliminato. L’affidamento è una misura di rieducazione a tutela della sicurezza dei cittadini. I detenuti affidati ai servizi sociali, infatti, quasi mai compiono altri reati e ritornano in carcere: sono solo tre su dieci. Chi sconta tutta la detenzione in carcere invece continua a delinquere: ben sette su dieci.
Questo libro è un coro dolente di voci che ci racconta di gironi infernali dove la pena di morte è inflitta senza sentenza, senza colpe, senza testimoni e soprattutto senza colpevoli. Il carcere, come la divisa, non si processa e chi finisce dietro le sbarre è solo un numero senza più diritti. La pena di morte non è mai stata abolita, si è evoluta. Chi, con sorpresa generale, viene trovato morto nella sua cella, con la faccia tumefatta, gli organi interni devastati, è solo un "diversamente suicida". Beppe Grillo

sabato 12 febbraio 2011

UN TELEGRAMMA DALL'EUROPA

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In marzo, insieme alle rondini e alla primavera, arrivano le cambiali europee e l'ultimo telegramma da Bruxelles. Francia e Germania, che posseggono 700 miliardi di euro del nostro debito, per continuare a sostenere i titoli pubblici italiani chiedono un piano di rientro nei parametri di Maastricht per portare il rapporto tra il debito pubblico lordo e il Pil al 60 %. Il rapporto attuale è quasi il doppio, circa il 120%. Il Pil è al palo. Non cresciamo. In 10 anni l'unico Paese a far peggio dell'Italia nel mondo è stato Haiti. Il debito va al galoppo, a botte di 100 miliardi di euro in più all'anno. Se il Pil non cresce e il debito pubblico è arrivato a 1.870 miliardi, c'è un solo modo per rientrare: ridurre il debito di circa 900 miliardi. Il dilemma è quindi: "Debito o default?". L'Europa non può permettersi un nostro default, rischierebbe di crollare come un castello di carte. I titoli italiani in mano alla Francia equivalgono al 20% del Pil francese e con un default diventerebbero carta straccia. La cosiddetta "ristrutturazione" del debito di cui si discute non è altro che il quasi azzeramento del valore del titolo. Un po' come quando viene "ristrutturata" un'azienda per mandare tutti a casa.
Se il default è un frutto proibito, resta solo la riduzione del debito. Supponiamo di fare un piano decennale con una rata di tagli di 90 miliardi annui. Una manovra da far tremare la triade Dracula, Attila e Amato. Supponiamo che la manovra sia inevitabile. L'unica domanda che ci resta allora è: "Come si fa?". Nel 2010 Tremorti tagliò la spesa di "soli" 25 miliardi, scatenando proteste sociali. Un filotto decennale a botte di 90 miliardi (ma anche di 40) non se lo può permettere nessun governo, ma questa volta è inevitabile. Tremorti equipara il debito pubblico al risparmio privato, da quando lo ha detto i capitali hanno cominciato ad emigrare. Topo Gigio Veltroni (9.000 euro di pensione) ha lanciato la patrimoniale chiedendo un sacrificio a chi le tasse le ha sempre pagate fino all'ultimo euro. Dal suo grido di dolore (dei risparmiatori) al Lingotto debenedettiano altri capitali hanno varcato velocemente la frontiera.
Sembra di essere di fronte a un problema impossibile, senza soluzioni. Invece, come direbbe il dottor Spock di Star Trek: "C'è sempre un'alternativa". Ogni anno l'evasione ammonta a più di 100 miliardi di euro, l'inefficienza amministrativa (inclusi raddoppi di competenze, enti inutlii, stipendi faraonici) vale almeno altri 50 miliardi, la corruzione, che moltiplica il costo dei lavori pubblici, vale circa 60 miliardi. Un calcolo prudente ci consente di disporre di un attivo tra maggiori entrate e minori spese di 150 miliardi all'anno. Ne avanzano 60, da investire in innovazione e ricerca, a quelli necessari per non naufragare. E' un obiettivo possibile, ma solo con un completo ricambio della classe politica. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

ARROGANZA E VIGLIACCHERIA

BEPPE GRILLO AD ANNOZERO

giovedì 10 febbraio 2011

LA MORTE DELL'ARIA A MILANO

George Bernard Shaw - ERRORI




Una vita passata a fare errori non solo è più onorevole, ma è anche più utile di una vita passata a non fare niente.

Giorgio Nisini - LA CITTA' DI ADAMO

Dopo La demolizione del Mammut, vincitore nel 2010 del Premio Corrado Alvaro Opera Prima, finalista al Premio Tondelli 2009, Giorgio Nisini esce con il nuovo e atteso romanzo, un “giallo morale e esistenziale” (Massimo Onofri), che si propone, grazie alla messa in scena di un conflitto all’apparenza insanabile tra dato razionale e intuitivo, come punto di partenza per un “realismo metafisico” italiano. Una storia sui limiti della conoscenza, sulla difficoltà di separare il bene dal male. La città di Adamo è il romanzo che Fazi Editore candida alla 65° edizione del Premio Strega.

Marcello Vinciguerra è un imprenditore agricolo di successo. La sua azienda, ereditata dal padre, è una tra le più importanti d’Italia. Ha una bella moglie, Ludovica, donna sofisticata e complessa, proprietaria di un negozio di arredamento e amante del lusso e del design, vive in una bella casa, conduce una vita – almeno in apparenza – piena di sicurezze. Una sera, però, un servizio televisivo dedicato a un potente boss della camorra fa riaffiorare nella sua memoria un ricordo dell’infanzia. E con il ricordo il dubbio. Quel boss era lo stesso uomo che lui e suo padre incontrarono, tanti anni prima, in mezzo a strani edifici a forma di cilindro? Chi era davvero suo padre? E quale ombra si nasconde nel passato della sua famiglia? L’inquieto affollarsi di queste domande spingono Marcello a una ricerca ossessiva della verità, che in una crescente spirale di avvenimenti – tra cui la scoperta di una misteriosa fotografia risalente ai primi anni Cinquanta e un breve viaggio in un’immaginaria cittadella camorrista – lo porterà a scontrarsi con un mondo inafferrabile e ambiguo, in cui tutti possono essere onesti o collusi, corrotti o corruttori.

Giorgio Nisini è nato a Viterbo nel 1974. Studioso di cinema e letteratura, insegna Sociologia della letteratura all'Università di Roma "La Sapienza”. Il suo primo romanzo, La demolizione del Mammut (Perrone, 2008), ha vinto il Premio Corrado Alvaro Opera Prima ed è arrivato tra i cinque finalisti del Premio Tondelli.

Hanno detto de La demolizione del Mammut:

"Il personaggio principale, un importante esperto di bioarchitettura e di decostruzione edilizia, è tra i più felici espressi dalla giovane narrativa nell’anno che si chiude".
Massimo Onofri, Avvenire


"Non ci dimenticheremo presto, nel romanzo d’esordio di Nisini, quel cielo anestetizzato e immobile, quella cappa nera che narcotizza il paesaggio".
Filippo La Porta, la Repubblica – XL

mercoledì 9 febbraio 2011

LA COSTITUZIONE

John James Audubon - IL VERO CONSERVATORE





Un vero conservatore sa che il mondo non gli è stato regalato dal padre ma dato in prestito dai figli.

Alessia Gazzola - L'ALLIEVA

Alice Allevi è una giovane specializzanda in medicina legale. Ha ancora tanto da imparare e sa di essere un po’ distratta, spesso sbadata. Ma di una cosa è sicura: ama il suo lavoro. Anche se l’istituto in cui lo svolge è un vero e proprio santuario delle umiliazioni. E anche se i suoi superiori non la ritengono tagliata per quel mestiere. Alice resiste a tutto, incoraggiata dall’affetto delle amiche, dalla carica vitale della sua coinquilina giapponese, Yukino, e dal rapporto di stima, spesso non ricambiata, che la lega a Claudio, suo collega e superiore (e forse qualcosa in più). Fino all’omicidio. Per un medico legale, un sopralluogo sulla scena del crimine è routine, un omicidio è parte del lavoro quotidiano. Ma non questa volta.
Stavolta, quando Alice entra in quel lussuoso appartamento romano e vede il cadavere della ragazza disteso ai suoi piedi, la testa circondata da un’aureola di sangue, capisce che quello non sarà un caso come gli altri. Perché stavolta conosce la vittima.
Nel sito dedicato al libro, www.allieva.it, leggi le ultime notizie, scopri da vicino i personaggi e gioca con loro nel book game ispirato al romanzo di Alessia Gazzola.

martedì 8 febbraio 2011

François de La Rochefoucauld - AMORE




Amiamo sempre coloro che ci ammirano; ma non sempre amiamo coloro che ammiriamo.

Guccini/Macchiavelli - MALASTAGIONE

Nel bosco di castagni che domina Casedisopra, minuscolo paese dell'Appennino tosco-emiliano, se ne sta appostato in attesa della preda il vecchio Adùmas, montanaro con un nome da romanzo (il padre, appassionato dei Tre moschettieri, lo ha chiamato come l'autore, un certo A. Dumas...). Non è un bracconiere di professione, Adùmas, ma ogni tanto, per rifornire sottobanco la trattoria del paese o anche solo per il sottile piacere di gabbare la Forestale, prende la doppietta e va nel bosco.
È il brùzzico, il crepuscolo, e Adùmas ha appena bevuto qualche sorso di grappa, giusto per ingannare l'attesa, quando poco lontano spunta una bestia come non ne ha mai viste e come nessuno ne vedrà più. Il dito gli si congela sul grilletto e in un attimo la bestia fugge via. Non c'è grappa o crepuscolo che tenga: davanti ai suoi occhi è appena comparso un cinghiale con un piede umano tra le fauci. I paesani, convinti che il vecchio abbia alzato troppo il gomito, sono subito pronti a schernirlo... Tutti, tranne Marco Gherardini, detto Poiana, ispettore della Forestale che nonostante la sua giovane età sa bene quanti segreti possa nascondere la terra scura sotto i castagni. E poiché anche un Forestale può occuparsi di delitti, quando il crimine si fa largo nei suoi territori, Poiana comincia subito a indagare attorno al caso del cadavere privo di un piede che forse giace in mezzo al bosco. Ma gli tocca scoprire subito che le relazioni e gli affari tra i notabili del luogo - l'ex sindaco proprietario di un'agenzia immobiliare, un nobile rampollo sfaccendato, l'impresario con un'azienda edile in crescita e un maresciallo dei Carabinieri che non brilla per intelligenza - creano un groviglio di interessi più pericoloso e inestricabile di un roveto. E l'incendio che divampa nel castagneto sembra provocato ad arte per cancellare tracce importanti...
Salutiamo la nascita, in queste pagine, di un nuovo splendido personaggio frutto delle penne di Guccini e Macchiavelli: Poiana, agente della Forestale giovane quel tanto che basta per credere ancora nella giustizia e per innamorarsi, antico quanto serve per conoscere davvero la terra e i pericoli che corre per mano dell'uomo. Un personaggio che si muove in un mondo ricchissimo di figure meschine e memorabili, checi riportano con la loro lingua sapida tutto il profumo di quel crinale d'Appennino, tra Emilia e Toscana, che come il Paese intero attraversa una malastagione - il tempo dei boschi abbandonati e depredati, ma anche quello di giovani intelligenti e coraggiosi che lottano perché tutto non frani.

lunedì 7 febbraio 2011

IL GARANTE DI RUBY

Jerome Klapka Jerome - L'OZIO





E' impossibile godersi l'ozio a meno che non si abbia tanto lavoro da svolgere.

Roberta De Monticelli - LA QUESTIONE MORALE

Corruzione a tutti i livelli della vita economica, civile e politica, la pratica endemica degli scambi di favori, lo sfruttamento di risorse pubbliche a vantaggio di interessi privati, la diffusa mafiosità dei comportamenti. E una sorprendente maggioranza di italiani che approva e nutre questa impresa. Come siamo giunti alla misera situazione nella quale ci troviamo? Per Roberta De Monticelli il male è antico e affonda in una storia di sudditanze che ancora crea personalità fragilissime dal punto di vista dell'assunzione di responsabilità, mentre le élite intellettuali restano incapaci di interpretare il profondo bisogno di rinnovamento. Contro questo scetticismo etico, il rimedio è difendere la serietà della nostra esperienza morale, smentendo la convinzione che non esista verità o falsità in materia di giudizio pratico, cioè del giudizio che risponde alla domanda: "che cosa devo fare?". Anche la politica deve riprendere la via di Socrate.

venerdì 4 febbraio 2011

IL RE NUDO

Oscar Wilde - IL PERDONO




Perdonate sempre i vostri nemici; non c'è niente che dia loro altrettanto fastidio.

Alessandro Barbero - GLI OCCHI DI VENEZIA

Venezia, fine del Cinquecento: una città tentacolare e spietata in cui anche i muri hanno gli occhi, il doge usa il pugno di ferro e il Sant'Uffizio sospetta di tutti. Sono tempi duri, soprattutto per il popolo brulicante intorno agli sfarzosi palazzi nobiliari... La Serenissima osserva, ascolta e condanna. Anche ingiustamente. Ed è proprio per sfuggire a un'accusa infondata che Michele, giovane muratore, è costretto a imbarcarsi su una galera lasciando tutto e senza nemmeno il tempo per salutare la sua bella moglie Bianca, di appena diciassette anni. Bandito da Venezia, rematore su una nave che vaga per il Mediterraneo carica di zecchini e senza speranza di ritornare a breve, Michele vivrà straordinarie avventure tra le onde, sulle isole e nei porti del
mare nostrum, fino ad approdare nelle terre del Sultano. Per sopravvivere, con il pensiero sempre rivolto a Bianca, da ragazzo ignaro e inesperto dovrà farsi uomo astuto, coraggioso e forte. Nel frattempo, Bianca rimane completamente sola in città. Il suo temperamento tenace e orgoglioso dovrà scontrarsi con prove se possibile più dure di quelle toccate a Michele, e incontri non meno terribili e importanti l'attendono nel dedalo di vicoli e calli, tra i profumi intensi delle botteghe di speziali... La terraferma e il mare, Occidente e Oriente, due vite e un unico grande amore, agli albori del mondo moderno: storico tra i più autorevoli, vincitore del premio Strega, Alessandro Barbero ha scritto un grande, trascinante romanzo d'avventura e d'amore.

giovedì 3 febbraio 2011

THE ARCORE'S NIGHTS

Michel de Montaigne - OSARE

Elizabeth Gilbert - GIURO CHE NON MI SPOSO

“... e vissero felici, divorziati e contenti.”
Doveva finire così l’irripetibile favola di Elizabeth Gilbert e del suo Felipe. Alla fine di Mangia prega ama li avevamo lasciati sulla spiaggia di Bali, innamoratissimi e decisi a non sposarsi mai più. Un primo matrimonio rovinosamente fallito per ciascuno era più che sufficiente: d’ora in avanti avrebbero celebrato l’amore a modo loro, senza bisogno di riti ufficiali, senza vincoli e senza il rischio di future complicazioni legali. Insieme, avrebbero vissuto ciascuno la sua vita; avrebbero continuato a viaggiare e lavorare come prima, con Philadelphia come base e il passaporto sempre in tasca. Ma i solerti agenti del Dipartimento per l’immigrazione e la sicurezza dell’aeroporto di Dallas avevano in mente un finale diverso. Per loro, il brasiliano Felipe, con i suoi frequenti andirivieni tra l’America e il resto del mondo, era solo un altro ospite indesiderato, sospettato di risiedere clandestinamente nel Paese e come tale punibile con l’espulsione. Solo le nozze con la sua americanissima e recalcitrante fidanzata avrebbero potuto consentirgli di rimettere piede legalmente negli Stati Uniti. Con la sincerità e l’ironia che hanno fatto di Mangia prega ama un bestseller da 10 milioni di copie, Elizabeth Gilbert riprende il racconto da dove l’aveva lasciato per affrontare il tema controverso e affascinante del grande “sì” in tutte le sue sfumature e implicazioni. E così facendo torna a mettere in scena le inquietudini, le paure, gli slanci e i desideri nascosti suoi e di tutte le donne, regalandoci un nuovo libro pieno di incontri, di storie e di piccole, formidabili rivelazioni.